Per quello che, di
fatto, è il mio lavoro principale, i miei primi (ed unici) pensieri
vanno sempre all’incoming ed all’hospitality. Ed è con la mente
rivolta verso questi pensieri che ho partecipato anche quest’anno
ai 4 giorni di fuoco riminesi: Hospitality Day prima e TTG poi.
Il primo si conferma
un appuntamento che arricchisce il visitatore, per i temi trattati e
per le novità che gli organizzatori riescono sempre a presentare,
con relatori e realtà dall’estero. Quello che dispiace è il dover
scegliere tra troppi speech nella stessa fascia oraria, cosa che
porta a far ammassare i partecipanti in alcune tra le sale,
nonostante la varietà dei temi trattati in contemporanea che
dovrebbe distribuire bene la “domanda”. In teoria. Gli
espositori, invece, credo siano stati ben collocati già rispetto
alla scorsa edizione.
Lasciare
l’appuntamento gratuito comporta questi disguidi, però
effettivamente un biglietto d’ingresso “umano” aiuterebbe
l’organizzazione, senza gravare troppo sulle tasche di chi passa
per aggiornarsi, più che per fare business. Anche se un occhio sugli
stand casca sempre ed una parola con un depliant arrivano comunque in
hotel. Almeno per quanto mi riguarda (per la gioia del direttore che
si trova la posta intasata…).
Il secondo ha dei
numeri in crescita. La riunione di tre manifestazioni nello stesso
lasso di tempo sicuramente aiuta a contenere i costi di ciascuna e
ad aumentare l’affluenza. La cosa che più mi ha fatto riflettere,
però, è il nostro modo di fare promozione.
Siamo nel 2017, c’è
Internet, ognuno ha il suo sito e c’è modo di contattare chiunque
senza spendere tempo né soldi per andare a Rimini. In fiera devi
portare te stesso (inteso come territorio), per presentarti a chi ti
ha già contattato (nei sellers), ma hai l’occasione di farti conoscere anche a
chi non ti ha contattato (e questo vale per territorio e sellers).
Ma per accendere la curiosità nei confronti
di posti che un buyer, che abita a centinaia o migliaia di chilometri
di distanza, non potrà mai conoscere, serve qualcosa che faccia
dire: “wow!”.
Siamo italiani.
Ci mancano i bei
luoghi, in Italia? Direi proprio di no.
Ci mancano i
creativi, in Italia? Nemmeno.
Ci mancano i
cervelli, in Italia? Forse, se non smettono di fuggire, tra un po’
ci mancheranno, ma al momento ne abbiamo ancora alcuni…
E allora perché
perdiamo le nostre occasioni con questa allucinante superficialità?
Opuscoli, libri e
applicazioni con gli stessi contenuti “analogici”.
Niente di tanto
moderno da facilitare l’esperienza “a distanza”, niente di
tanto autentico da entrarti nel cuore e farti venire voglia di conoscere di più certe destinazioni. Con le dovute eccezioni, anche
italiane, che si sono fatte un nome ed un numero sempre crescente di
visitatori. Sappiamo tutti a quale regione italiana mi riferisco.
Quindi, un
malcapitato buyer, che passa davanti allo stand di una destinazione
che non aveva considerato, prima di partecipare alla fiera, non
trovando nient’altro che opuscoli piatti ed hostess carine e
giovani che ricaricano il desk con gli stessi, molto probabilmente
continuerà a non considerare la destinazione.
Ci sarebbe anche da
parlare di collegamenti, del fare bella mostra di luoghi impervi nei
quali i visitatori non troveranno praticamente nulla di
“paraturistico”, sempre che ci arrivino, terminando la loro esperienza a guardare, da
fuori, un edificio del quale anche gli orari di apertura non sono
chiari, se non alla terza pagina dei risultati della ricerca su di un motore, in un sito ignoto. O
di luoghi “turistici”, che fanno pagare la tassa di soggiorno per
regalare un’esperienza completamente fai-da-te, inclusi la multa
per il parcheggio "blu" non pagato, perché le insegne e le istruzioni del
parchimetro sono solo in italiano, e/o lo IAT chiuso o con materiale
degli anni 80 e personale impreparato.
Ma più che scrivere
un post, dovrei scrivere un libro.
Maleducati ossequi.
LaReception
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