martedì 20 ottobre 2020

Ospitalità a due (e anche più) marce e il divario tra i sogni dei consulenti e la cruda realtà degli albergatori.

"Ferie". Così chiamo la mia solita trasferta riminese, in genere di quattro giorni, durante la quale ficco il naso all'Hospitality day prima e in fiera, al TTG/Sia/Sun/altro, dopo. 

Ecco, quest'anno le ferie non sono state così soddisfacenti. 

Ammetto che mi aspettavo qualcosa in più, dopo questi mesi di crisi, perché dalle crisi in genere esce sempre qualcosa di geniale, di nuovo, di fresco. 
Invece pare che il fermento innovativo in ambito turistico sia stato congelato da questo periodo buio. 

Inoltre è sempre più evidente il fatto che l'ospitalità, all'interno della stessa categoria, viaggi a marce diverse. 

  • Da una parte, quelli che fanno dell'automazione dei processi, della digitalizzazione e del seguire le mode del momento i loro cavalli di battaglia; 
  • Dall'altra, chi riesce a farti fare un viaggio nel tempo tra gli anni '80 e i '90.

Mentre il software, le attrezzature, la domotica, gli speech (anche di natura commerciale) sono fatti per i primi, i secondi restano sempre più indietro. Vedendo il futuro proposto troppo "anteriore", non possono concepire di cambiare così drasticamente la loro offerta complessiva, così non riflettono, non si aggiornano, non investono (=non spendono).

Di contro, non sono affatto convinta che la digitalizzazione massima sia un modo perfetto di fare ospitalità (se ce n'è uno...). Il rischio che si corre è quello di "raffreddare" la struttura, come anche quello di farsi convincere che le persone siano facilmente sostituibili con un'applicazione o una serie di strumenti più o meno avveniristici.

E' possibile che si debba essere per forza una struttura superautomatizzata, senza ristorante o con proposte che non sono per le tasche di tutti (non per una vacanza di media durata almeno), con dei software che vendono al posto degli addetti alla tariffa calcolata e che consigliano servizi e non solo sulla base di una profilazione più o meno attendibile, una struttura che necessita anche di un toilet manager esterno? Perché è questo che, passeggiando tra gli stand e ascoltando i relatori, sembrerebbe suggerito.

La rimodulazione acritica dell'offerta, però, non tiene conto di alcuni fattori:
  1. La domanda che rimane tagliata fuori - e che non troverà una collocazione, se non passando dall'albergo a un appartamento o dall'Italia all'estero; 
  2. La capacità di spesa dell'imprenditore, che non è infinita;
  3. La capacità di spesa dei target di riferimento della struttura (in parte compresa nel punto 1);
  4. L'appiattimento progressivo dell'offerta (se rendi gli alberghi tutti uguali, anche solo nell'organizzazione interna, cosa ti spinge a sceglierne uno, se non il prezzo?) - non parlo di standard qualitativi ai quali allinearsi, ma di offerta piatta-
  5. Le ricadute -negative- sulla destinazione (cosa che accade anche restando negli anni 80);
  6. Le ricadute sul mercato del lavoro e la difficoltà di reperimento di figure adatte alla struttura (e adeguate alle tariffe) - può una struttura avere più consulenti esterni"fissi" che personale operativo?-.

Si potrebbe obiettare che non è come penso, che vengono proposte soluzioni "tailor made". Potrei rispondere che ogni anno mi arrivano clienti che sono scappati da certi abiti di certi sarti. Se quelli che guadagnano sono migliori di quelli che perdono, non lo so. Perdere clienti buoni, però, è sempre e comunque un gran peccato: conosci chi esce, non sai mai chi entra a rimpiazzarli.

Maleducati ossequi.
LaReception

P.S. 
Mi riprometto di analizzare alcuni dei fattori che ho elencato, ricollegandomi a qualche discorso ascoltato durante le "ferie".





lunedì 19 ottobre 2020

Ripensare l'ospitalità (?) - il dopo stagione 2020

Le buone intenzioni di scrivere un ciclo di post prima e durante la breve stagione estiva di quest'anno così particolare sono naturalmente andate a farsi benedire, dopo essere stata completamente fagocitata dal lavoro. 

Dirlo adesso è facile, ma il sentore che in qualche modo gli italiani avrebbero fatto un po' di vacanze, anche se più brevi, lo avevo. Bisognava staccare, allontanarsi dalla "prigione domestica",  anche solo per un paio di giorni.  
Il nostro settore è veramente provato, per utilizzare un eufemismo, specie laddove sono i flussi internazionali a portare lavoro e ricchezza; flussi che si sono bruscamente interrotti, causando danni enormi e un fiume di disoccupati, proprio tra i lavoratori che noi stagionali mediamente "invidiamo" per le condizioni in genere più stabili (e più umane) delle nostre. 

Avevo comunque criticato ogni singola grande previsione letta o sentita durante il lockdown, questo perché era impossibile essere sicuri dello scenario che ci saremmo ritrovati in estate nelle località di mare o montagna. Nelle città d'arte e, in genere, nei luoghi che vivono di turismo dall'estero, tra problemi coi trasporti, quarantene, tamponi, ecc. purtroppo non si poteva sperare granché. 

Anche dove il turismo è prettamente interno, però, molti non hanno aperto. Alcuni di questi ci hanno ripensato ad agosto, quando la domanda interna premeva tanto da far "rodere" il lasciare tutto a chi aveva avuto il coraggio di rischiare. La mancanza, almeno fino a settembre, dei soliti "URG!!! GRP ANZ..." a quota indegna ha scoraggiato la riapertura di alberghi-pollaio abituati a campare solo con quelli, guadagnando (o forse aggraffando) qualcosa per via dei grandi numeri. 

Sanificazioni, adeguamenti vari, riorganizzazioni interne, riapertura. 
Poche prenotazioni, all'inizio, tanta paura e last but not least... poco personale. 
Personale che all'inizio nessuno voleva assumere e, ad agosto, tutti cercavano col lanternino, incolpando i vari bonus, la naspi e i redditi di cittadinanza/emergenza del fatto che non si trovasse qualcuno che volesse lavorare (mentendo spudoratamente sulle condizioni), con il risultato di sovraccaricare (ancora di più del solito) quei 4 "sfigati" costretti a lavorare per due o per tre, con la costante preoccupazione che qualcuno si assentasse per qualche motivo. 

Nel mio caso la preoccupazione è diventata realtà nella settimana peggiore, anche se pure prima la situazione non era delle migliori. Non rivivrei questa stagione neanche per il doppio dello stipendio.
Soprattutto, si è rafforzata in me la consapevolezza che così non si può più andare avanti. 

Poteva essere una sorta di "anno zero" per cambiare rotta, invece guardandomi attorno, nella veste di ospite, vedo che la direzione è sempre quella: 
  • guerra dei prezzi al ribasso, specie dove la concorrenza è molta;
  • scarsa qualità del servizio nella sua globalità, "giustificata" dal prezzo basso (ma il cliente non la giustifica, specie quando sceglie un albergo per la posizione, o altre caratteristiche, non per il prezzo);
  • demotivazione del personale costretto a lavorare troppo e "castrato" nella sua creatività, perché la direzione/proprietà impone degli standard anacronistici e dannosi;
  • colazione effetto wow ^-1: a dispetto di tutti i martellamenti sulla colazione, in un albergo medio, senza pretendere spese eccessive, il buffet (servito) è veramente triste e povero (di contro, c'è chi si lamenta di "allestimenti" più che dignitosi);
  • potrei continuare per pagine e pagine.
Non è risparmiando, sul necessario, due euro oggi che si costruisce il domani, piuttosto è quasi certo che lo si demolisca. 

Maleducati ossequi.

LaReception









venerdì 8 maggio 2020

Ripensare l'ospitalità(?) - Premessa

Ho atteso abbastanza prima di scrivere, visto ciò che è accaduto negli ultimi mesi nella nostra Italia e non solo. Non era il caso di proseguire il filone che avevo iniziato.


È innegabile che il nostro settore sia stato completamente devastato dalla pandemia, per i flussi interrotti e le conseguenti chiusure forzate e/o anticipate, per le mancate o ritardate aperture che stanno provocando danni economici a dir poco ingenti, sia ai singoli lavoratori, sia agli imprenditori.

Ancora non sappiamo quando potremo tornare alla normalità, quando le persone potranno ricominciare a circolare e ad arrivare in maniera sicura anche dall'estero - penso a chi lavora con clientela prettamente straniera -; nel frattempo, ogni giorno spuntano nuove ipotetiche indicazioni e improbabili strumenti da adottare per salvaguardare la sicurezza nostra e dei nostri ospiti.

Le boiate ovviamente si diffondono in maniera direttamente proporzionale al tempo a disposizione da parte degli utenti social; la cosa grave è che vengano prese sul serio.

Esempio pratico: questa proposta ce la ricordiamo tutti. Per quanto la nostra mente, sotto Ferragosto, possa aver desiderato lo stesso effetto-forno per i migliori clienti, razionalmente sarebbe stata da scartare alla prima occhiata.

(immagine raggiungibile al seguente link:
https://telenord.it/img/uploads/2020/04/articolo-14593/spiagge_coronavirus.jpg )

Eppure è stata rilanciata senza pudore dalla maggior parte delle testate più note, ma non è la sola indicazione bislacca a girare da settimane. 
Molto di quello che gli albergatori "dovrebbero" fare è inapplicabile dal punto di vista organizzativo ed economico. 
Da qualche parte, ad esempio, si suggeriva il servizio in camera per tutti. Ma chi ha partorito questa idea si rende conto di che cosa comporta, solo a livello di personale e di strumenti a disposizione della sala? 

Andiamo incontro ad una potenziale clientela (o almeno ad una parte di essa), per i prossimi mesi, con una disponibilità economica inferiore a quella degli anni passati. Su chi graverebbero i fantaadeguamenti necessari per poter riaprire ed ospitare? 
E non c'è il rischio di far correre all'adeguamento pre-apertura le strutture per l'acquisto di strumentazione che tra qualche settimana potrebbe non essere più considerata come necessaria? Non è questo il tempo per sprecare risorse fisiche, mentali ed economiche!

Non volevo dilungarmi tanto nella premessa, ma non ho potuto farne a meno.
A questo punto è meglio dividere il post.

Maleducati ossequi.
LaReception



giovedì 6 febbraio 2020

Turismo delle esperienze esasperate o esperienze esasperanti per l'operatore?

Da un paio d'anni circa, o forse anche più di due, non riesco a partecipare ad un evento formativo puro, oppure a degli angoli formativi/promozionali inseriti in qualche fiera, senza che questa parola venga ripetuta ossessivamente come un mantra da formatori o anche da fornitori di qualsivoglia merce, più o meno tangibile.

Esperienza.

"Turismo delle esperienze", "non vendiamo camere, ma esperienze", "il cliente non viene da noi in vacanza, ma per fare un'esperienza". Possibilmente, l'esperienza deve essere "memorabile", "indimenticabile", "unica".

Ora, finché questo termine resta una scatola nera dal contenuto ignoto, le fantomatiche esperienze che dovremmo vendere, al posto delle camere, non ci danno chissà quale disturbo. 
Quando però c'è da pensare a riempire seriamente codesto involucro con dei progetti concreti, l'impresa si fa decisamente più ardua. 

Dove il nostro non meglio identificato cliente dovrebbe vivere queste esperienze? Dentro l'hotel? Fuori?

Iniziamo dalla seconda possibilità, che paradossalmente è più facile da analizzare: fuori.
In realtà, i nostri nemiciamici delle OTA ed i nostri pseudonemici, della pseudo-sharing economy nell'ospitalità, hanno usato esattamente quello che non vendono per vendere quello che vendono.
Ricordo bene uno spot televisivo nel quale il protagonista faceva una serie di attività, che nulla avevano a che fare con il prodotto (ospitalità), con una musichetta detestabile in sottofondo.  Ne ricordo anche un altro, in cui il cliente potenziale veniva indotto a credere che tali emozioni autentiche potessero essere vissute soltanto con un affitto breve in appartamento.  L'analisi degli effetti di queste campagne la lascio a loro.
Beh, svegliamoci un attimo: per guidare i nostri ospiti alla scoperta di tutto ciò di cui può godere nei dintorni e non solo, dobbiamo "solo" essere informati ed informare. Cosa più semplice quando le istituzioni (e anche tutte le associazioni create allo scopo, che beneficiano di contributi pubblici...) ti assistono, fornendo del materiale adeguato (e non intendo il cartaceo e basta) e aggiornato, progettato in base alle esigenze del turista. Cosa più complicata quando te la devi sbrigare da solo, districandoti tra ecomostri virtuali (portali turistici INUTILI, copia-incolla di papiri che nessuno leggerà, aggiornati nel 2009), informazioni irreperibili, scaricabarile degli uffici competenti, disinteresse totale. Quando poi il tempo scarseggia, perché non hai un ruolo definito dietro al desk ma ti devi occupare di molte cose, curare questo aspetto importantissimo anche per noi che "vendiamo sole e mare" (e la stagione si accorcia) finisce nella lista di "vorrei ma non posso" causati dall'insufficienza del personale tra front office e direzione - il solito "risparmio" che fa perdere guadagni e reputazione, come in tutti gli altri reparti.
Abbiamo, però, dato per scontato che il nostro ospite sia sempre aperto all'esperienza esterna, il più delle volte non gratuita per le sue tasche. Presupposto errato, leggerete perché.
Passiamo alla parte più difficile: l'esperienza dentro la struttura.

Iniziamo con un esame di coscienza...
Prima di pensare a "vendere esperienze memorabili", siamo sicuri di non venderne di memorabilmente brutte?
La facciamo un'analisi onesta di quello che diamo ai nostri ospiti, oppure "se va bene è così, se no se ne vanno da un'altra parte" (e un po' per volta ci vanno tutti), sporcizia e disservizi di ogni genere inclusi?
Sarà una fissa personale, ma credo che se le cose funzionassero bene, in ogni struttura, non occorrerebbe pensare di strafare in un reparto, per distrarre l'attenzione da ciò che non funziona.
Il sorriso, l'empatia e il saperci un po' fare (soprattutto al ristorante) risolvono un sacco di problemi, ma questi problemi bisognerebbe cercare di non averli. 
 [A scanso di equivoci, non parlo di "imprevisti", ma di funeste previsioni a lungo termine che puntualmente si realizzano, perché non si è fatto niente per evitarne la fatale presentazione. Parola di Cassandra.]
Esame di coscienza superato? Ottimo.
Allora adesso bisogna iniziare a comprare tutto quello che troviamo nei padiglioni B1-B7 al Sia Guest per donare esperienze memorabili? Tovagliati preziosi, lenzuola di seta, servizi di porcellana di lusso (il mio punto debole...), aromaterapia per ogni spazio comune e privato, spa faraoniche, attrezzature da esterno incredibili? Occorre davvero offrire una colazione-pranzo che superi il famigerato costo fisso della stanza, con prodotti ovviamente bio, a km0, DOP, IGP, DDT... no, questo no..., ecc? E in cucina chi ci va, lo chef stellato con la sua brigata raffinata, oppure un reggimento di massaie con esoscheletro di supporto, visto che le massaie di quel tipo ormai hanno la busta paga INPS?

Ricordo ancora che stiamo parlando di alberghi da vacanza, quelli che soffrono la stagionalità della domanda e l'anonimato della struttura, specie se sono della generazione X.

Per rispondere, volevo condividere con voi una riflessione sulle recensioni. Sembra che io salti di palo in frasca, ma non è così, abbiate fiducia.

Senza scomodare la statistica, ho osservato che molti recensori, più con famiglia al seguito che in coppia o in solitaria, citano l'animazione come punto enormemente positivo o tremendamente negativo nel raccontare la loro esperienza in struttura. Questo, aggiungerei purtroppo, mostra che, più che un'esperienza indimenticabile, un ospite di quel tipo cerchi un intrattenimento che renda la vacanza indimenticabile. Perché i figli si sono divertiti e lui si è riposato, perché lui si è divertito, perché è stato coinvolto in attività che gli sono piaciute, perché ha staccato la spina dalla frenesia del lavoro, ecc.
Perché dico "purtroppo"?
Perché questo indica che il nostro ospite non si accontenta di servizi evocativi di un'esperienza; spesso trova scomodo allontanarsi anche di pochi chilometri, vuole avere a disposizione tutto nella struttura o, al massimo, nella località specifica che ha scelto per le vacanze.
Cosa comporta questo, per noi? Che dobbiamo accollarci le conseguenze dell'avere un ospite mediamente pigro nell'iniziativa, sostenendo le spese di un intrattenimento che sia sempre presente e adeguato, ma non eccessivo -perché non abbiamo solo famiglie e non siamo un villaggio turistico-, che spesso deve ovviare anche alle carenze di eventi e di spirito commerciale delle località nelle quali ci troviamo a lavorare. E sì, certo, parte dell'intrattenimento disponibile comprende una dotazione propria dell'hotel, come palestre e spa, sia per gli altri ospiti, sia per quelli che sono liberi dai figli per qualche ora. 
Ma quando il tempo non è nostro amico, tutti i nostri sforzi interni sono sufficienti a placare la presunta "fame di esperienze" del nostro ospite? Abbiamo problemi ad offrire esperienze, oppure abbiamo problemi con il mutamento del comportamento del nostro ospite medio nel corso degli anni
Vi lascio con questo dubbio, promettendovi a breve un post proprio su questo argomento.

Maleducati ossequi.
LaReception

lunedì 27 gennaio 2020

Prepariamo le esequie della pensione completa? - 4 la transumanza

Mi rendo conto di essermi presa una pausa decisamente lunga, per quanto involontaria. Non volevo però lasciare "appeso" questo piccolo ciclo di post nato dalla lettura di un articolo ormai datato , letto su Hospitality news circa un anno e mezzo fa, firmato da Andrea d'Angelo.

La transumanza. 

Questo termine, nel cuore di un'abruzzese mezzosangue, evoca un mix di emozioni positive: ricordi d'infanzia visivi e olfattivi, paesi di montagna, cibi genuini e basta, che altrimenti mando in corto la tastiera....
Associarlo alle "carrettate" di clienti che alle 12-12,30 abbandonano l'ombrellone per presentarsi, spesso in tenute non proprio consone, al ristorante dell'albergo, un po' meno.

Lo scenario è quello di un lungomare di una qualsiasi località della riviera Adriatica, che negli ultimi decenni si è organizzata per accogliere un turismo "di massa"; nel caso specifico si parla di Rimini e Riccione, ma il racconto è adattabile a moltissime altre cittadine.  
I nostri eroi sarebbero costretti a rientrare a 40° per l'orario di apertura del ristorante, per trovare il menu scelto la sera prima e aria condizionata a palla.

Ma chi sono questi nostri eroi? Sono coppie giovani in cerca di avventura? Sono famiglie attive, che ti chiedono il "pranzo al sacco" per andare a fare rafting in montagna? Sono "lucertole" (come le chiamo io, quando smetto di frequentare il lungomare della mia città) che, in barba alla dermatologia, occupano il loro posto al sole dall'alba al tramonto, sostituendo il pranzo con una bella centrifuga di carote e zenzero? Sono post-millennials, che a orario di colazione si bevono l'ultimo mojito della serata e si addormentano direttamente in spiaggia, poi rientrano per prepararsi all'happy hour e si danno al junk food per tamponare la sbronza? Sono coppie amanti della cucina gourmet, che fanno il pieno di stelle a tavola e che prendono l'albergo solo come punto d'appoggio, più o meno casuale?

Oppure saranno gli ospiti dei "soggiorni climatici" (sapete di cosa parlo, vero??? "URG!! GRP ANZ..."), che si portano appresso anche l'infermiere, che il sole dovrebbero evitarlo almeno dalle undici alle sedici, per i quali le agenzie spuntano tariffe ridicole in piena stagione, che molti albergatori continuano ad ospitare solo per non restare vuoti? O magari saranno le famiglie a budget ridotto, che portano i figli a fare la vacanza al mare, ma che spenderebbero molto di più cambiando trattamento e ordinando pizze, hamburger e sushi a domicilio per cena -perché il pranzo lo offre gentilmente e inconsapevolmente la direzione con il buffet delle colazioni - ? 

Le vacanze non devono essere un lusso per pochi, ma è normale che la modalità di fruizione delle stesse sia proporzionale al proprio budget. Ora certamente non ho citato tutte le tipologie degli ospiti che prenotano la pensione completa, ma, tra le greggi che si muovono in massa all'ora di pranzo, molte appartengono a dei target che non sono remunerativi per l'albergo, sia in termini di guadagno, sia in termini di reputazione.
Ognuno fa le sue scelte: se si sceglie di essere "low cost", difficilmente ci si scollerà quest'etichetta (e sarà inutile ed ipocrita stracciarsi le vesti davanti ai risultati di fine stagione/anno). Se è un singolo imprenditore a fare questa scelta, poco male, affari suoi! Se poi resta poco per il gestore, non potrà lamentarsi del fatto che lo chef e il maitre guadagnino più di lui.

Ma il problema, come giustamente ha affermato Armando Travaglini (Digital Marketing Turistico) in un'occasione recente, è che sopra la riviera Adriatica si è formata una grossa nuvola di Fantozzi con su scritto "low cost". Come si è creata questa situazione, se non a seguito dell'adesione di singoli imprenditori ad un modello di lavoro tanto semplice quanto dannoso a medio e lungo termine? Perché chi va in vacanza sul medio Adriatico pretende di pagare poco, ma non si accontenta di avere un servizio proporzionale a ciò che paga? Chi ha educato questi ospiti a non dare il giusto valore al servizio, svendendo la propria struttura, insieme al territorio, abbassando i prezzi e la qualità dell'accoglienza? 


Stando così le cose, poi, perché continuano a dire che i nostri prezzi sono alti, se non c'è tutto questo guadagno?

È sbagliato continuare a proporre la pensione completa, anche se non proponendola si perde quella fetta di mercato medio/alto-spendente, che la sceglie per comodità ma che è pronta a pagarla in maniera equa?
Oppure siamo arrivati ad un punto in cui la pensione completa non è più sostenibile alle condizioni attuali, ma possiamo sperare di fare un certo restyling del trattamento, con un lavoro mirato ad attirare l'attenzione di chi dà valore al servizio? 

Qui si aprirebbero mille parentesi: la qualità e il costo del personale, il controllo dei costi in cucina, lo studio di un menu che esprima sapori più autentici ma che sia economicamente sostenibile, ecc...

In realtà questi ragionamenti hanno origine da un unico interrogativo, che pongo nel mio linguaggio parlato e di cui non posso accaparrarmi di certo la maternità:

A casa nostra, noi, chi ci vogliamo?

Chi si è dato una risposta, ha già cambiato marcia. Oppure sta aspettando di schiantarsi. 



Maleducati ossequi.

LaReception