lunedì 27 gennaio 2020

Prepariamo le esequie della pensione completa? - 4 la transumanza

Mi rendo conto di essermi presa una pausa decisamente lunga, per quanto involontaria. Non volevo però lasciare "appeso" questo piccolo ciclo di post nato dalla lettura di un articolo ormai datato , letto su Hospitality news circa un anno e mezzo fa, firmato da Andrea d'Angelo.

La transumanza. 

Questo termine, nel cuore di un'abruzzese mezzosangue, evoca un mix di emozioni positive: ricordi d'infanzia visivi e olfattivi, paesi di montagna, cibi genuini e basta, che altrimenti mando in corto la tastiera....
Associarlo alle "carrettate" di clienti che alle 12-12,30 abbandonano l'ombrellone per presentarsi, spesso in tenute non proprio consone, al ristorante dell'albergo, un po' meno.

Lo scenario è quello di un lungomare di una qualsiasi località della riviera Adriatica, che negli ultimi decenni si è organizzata per accogliere un turismo "di massa"; nel caso specifico si parla di Rimini e Riccione, ma il racconto è adattabile a moltissime altre cittadine.  
I nostri eroi sarebbero costretti a rientrare a 40° per l'orario di apertura del ristorante, per trovare il menu scelto la sera prima e aria condizionata a palla.

Ma chi sono questi nostri eroi? Sono coppie giovani in cerca di avventura? Sono famiglie attive, che ti chiedono il "pranzo al sacco" per andare a fare rafting in montagna? Sono "lucertole" (come le chiamo io, quando smetto di frequentare il lungomare della mia città) che, in barba alla dermatologia, occupano il loro posto al sole dall'alba al tramonto, sostituendo il pranzo con una bella centrifuga di carote e zenzero? Sono post-millennials, che a orario di colazione si bevono l'ultimo mojito della serata e si addormentano direttamente in spiaggia, poi rientrano per prepararsi all'happy hour e si danno al junk food per tamponare la sbronza? Sono coppie amanti della cucina gourmet, che fanno il pieno di stelle a tavola e che prendono l'albergo solo come punto d'appoggio, più o meno casuale?

Oppure saranno gli ospiti dei "soggiorni climatici" (sapete di cosa parlo, vero??? "URG!! GRP ANZ..."), che si portano appresso anche l'infermiere, che il sole dovrebbero evitarlo almeno dalle undici alle sedici, per i quali le agenzie spuntano tariffe ridicole in piena stagione, che molti albergatori continuano ad ospitare solo per non restare vuoti? O magari saranno le famiglie a budget ridotto, che portano i figli a fare la vacanza al mare, ma che spenderebbero molto di più cambiando trattamento e ordinando pizze, hamburger e sushi a domicilio per cena -perché il pranzo lo offre gentilmente e inconsapevolmente la direzione con il buffet delle colazioni - ? 

Le vacanze non devono essere un lusso per pochi, ma è normale che la modalità di fruizione delle stesse sia proporzionale al proprio budget. Ora certamente non ho citato tutte le tipologie degli ospiti che prenotano la pensione completa, ma, tra le greggi che si muovono in massa all'ora di pranzo, molte appartengono a dei target che non sono remunerativi per l'albergo, sia in termini di guadagno, sia in termini di reputazione.
Ognuno fa le sue scelte: se si sceglie di essere "low cost", difficilmente ci si scollerà quest'etichetta (e sarà inutile ed ipocrita stracciarsi le vesti davanti ai risultati di fine stagione/anno). Se è un singolo imprenditore a fare questa scelta, poco male, affari suoi! Se poi resta poco per il gestore, non potrà lamentarsi del fatto che lo chef e il maitre guadagnino più di lui.

Ma il problema, come giustamente ha affermato Armando Travaglini (Digital Marketing Turistico) in un'occasione recente, è che sopra la riviera Adriatica si è formata una grossa nuvola di Fantozzi con su scritto "low cost". Come si è creata questa situazione, se non a seguito dell'adesione di singoli imprenditori ad un modello di lavoro tanto semplice quanto dannoso a medio e lungo termine? Perché chi va in vacanza sul medio Adriatico pretende di pagare poco, ma non si accontenta di avere un servizio proporzionale a ciò che paga? Chi ha educato questi ospiti a non dare il giusto valore al servizio, svendendo la propria struttura, insieme al territorio, abbassando i prezzi e la qualità dell'accoglienza? 


Stando così le cose, poi, perché continuano a dire che i nostri prezzi sono alti, se non c'è tutto questo guadagno?

È sbagliato continuare a proporre la pensione completa, anche se non proponendola si perde quella fetta di mercato medio/alto-spendente, che la sceglie per comodità ma che è pronta a pagarla in maniera equa?
Oppure siamo arrivati ad un punto in cui la pensione completa non è più sostenibile alle condizioni attuali, ma possiamo sperare di fare un certo restyling del trattamento, con un lavoro mirato ad attirare l'attenzione di chi dà valore al servizio? 

Qui si aprirebbero mille parentesi: la qualità e il costo del personale, il controllo dei costi in cucina, lo studio di un menu che esprima sapori più autentici ma che sia economicamente sostenibile, ecc...

In realtà questi ragionamenti hanno origine da un unico interrogativo, che pongo nel mio linguaggio parlato e di cui non posso accaparrarmi di certo la maternità:

A casa nostra, noi, chi ci vogliamo?

Chi si è dato una risposta, ha già cambiato marcia. Oppure sta aspettando di schiantarsi. 



Maleducati ossequi.

LaReception