venerdì 23 gennaio 2015

Cucina catodica e cucine reali

Mi accingevo a scrivere il secondo capitolo del mio blocco sui maleducati turistici al lavoro, poi ho pensato di condividere qui una riflessione...
Come ho già scritto, ho da poco terminato il corso da aiuto cuoco. Pur includendo nel pacchetto quasi un mese di stage, e pur essendomi prestata io spesso a "dare una mano" al reparto in precedenza,per molto più che un mese, questo non fa di me un aiuto cuoco o un cuoco, tantomeno uno chef. Al di là di quanto mi piaccia cucinare e di quanto i risultati possano essere più o meno gradevoli, essere cuoco è ben altro.

E parliamo di questa mole abnorme di programmi che infestano i palinsesti, pseudotalent culinari con fenomeni da fuoco celati dentro uomini e donne che nella realtà magari fanno i mestieri più disparati, dal bancario alla casalinga, dallo sportivo alla modella (dei bambini non parlo proprio, altrimenti distruggo i tasti per il nervoso).

Cuochi "amatoriali".

Maestri di destrutturazione, professori di chimica alimentare, ingegneri edili della pietanza, esperti nel bilanciamento delle componenti.

Poi ci sono loro, i fantastici giudici, dal sadismo che può scaturire soltanto dai ricordi dei tempi da plongeur. Insulti pittoreschi e fiumi di lacrime come risposta.

E' il minimo, in luoghi catodici in cui è normale che le nonnine siano in grado di fare torte multipiano, decorate intagliando un motivo ad archi e colonne con capitelli di ordine composito, in un'ora e mezza.
Abbattitori, forni chiamati per nome, la cucina non ha segreti per questi esseri tanto talentuosi da chiedersi se siano veri.

Sono veri? Più che rispondere a questa domanda, ne faccio un'altra.

Cosa combinerebbero a riflettori spenti (e puntata non montata), oppure lontano da posti in cui possono dedicarsi alla preparazione di un singolo piatto per un singolo cliente?
Cosa succederebbe se fossero messi a lavorare in hotel, con brigata limitata, food cost molto basso e molto lavoro da sbrigare bene in poco tempo? Oppure in una comune trattoria con numerosi coperti, dove il lavoro espresso è ancora più rapido e stressante?

Per colpa di queste trasmissioni fuorvianti, cresce il numero di aspiranti "chef" che, convinti del proprio talento, si credono capaci di saltare la gavetta e di balzare direttamente al posto più alto della gerarchia.
Senza un minimo di gestione di risorse, anche umane, senza avere a che fare con un budget stabilito, senza far caso agli sprechi. Senza andare, scusate il termine ma è quello specifico, "in merda" per 100 coperti a sorpresa, di cui non era stato avvisato, oppure perché si ammala il secondo e deve ingegnarsi a programmare il lavoro utilizzando mezzi limitati.

Inoltre, si instilla anche nel pubblico l'idea che tutti i ristoranti debbano avere lo stesso standard qualitativo e di presentazione dei ristoranti "stellati".
La diretta conseguenza è l'aumento esponenziale dei web recensori gastronomici, critici dell'ultimo minuto che, ispirandosi al sadismo da ex plongeur, sentenziano i loro giudizi insindacabili sui vari portali a loro disposizione.
Aumenta anche il numero di quelli che, manifestando il loro parere al ristoratore, inducono quest'ultimo a seguire la tendenza.

E' necessario fare chiarezza su una questione.
Più che parlare di cucina, bisognerebbe parlare di cucine, a mio avviso.
C'è quella "stellata", quella di alto livello ma non "stellata", quella da trattoria, quella da hotel, ad esempio. Non è possibile che lo standard qualitativo (anche per il servizio in sala) sia lo stesso per tutte.
Per il numero dei componenti della brigata e per la loro preparazione, per le materie prime, per il budget del ristoratore ed anche per quello del cliente.

Ne ho già parlato in precedenza: se la pensione completa in un hotel costa come mezza cena in un ristorante di buon livello, come una cena in uno medio o come una foglia di lattuga romana allo stellato, le aspettative devono anche essere rapportate al prezzo che si paga, considerati i servizi inclusi.
Questo non significa che si debba mangiare "male" a fronte di una spesa bassa, ma le materie prime e la cura dei particolari è evidente che debbano variare in funzione del prezzo.

Spiegarlo a chi ormai si è autoproclamato emissario di guida gastronomica è il problema...


P.S.

I talent di cucina mi infastidiscono; apprezzo invece programmi in cui lo chef insegna qualche piatto semplice, da riprodurre a casa, in maniera semplice (peccato che "Cucina con Ale" non ci sia più...), oppure anche gli show costruiti che però riproducono delle situazioni non troppo lontane dalla realtà (purtroppo le versioni italiane non sono da incubo, piuttosto conciliano il sonno...).

venerdì 16 gennaio 2015

Maleducati turistici al lavoro 1 - La Reception

Con tutte le arrabbiature che mi hanno causato i colleghi degli altri reparti negli anni, non credevo che avrei iniziato parlando proprio del mio.
Invece, riflettendoci su, sono arrivata ad accumulare dati sufficienti per stilare una breve lista dei peggiori stereotipi da reception che si possano incontrare.

1) Il bruciatore di tappe. Parto da colui che vuole fare le scarpe a tutti i colleghi, direttore incluso, senza sufficiente competenza per fare il proprio lavoro di base. Gentile coi clienti, dittatoriale col personale, se gli viene concessa questa libertà, in combutta col resto del personale in caso contrario. Se non si può imporre, si limita al minimo indispensabile, senza cercare di recuperare ciò che con il suo atteggiamento ha perso: la fiducia di chi lo circonda. Non provare neanche a rendersi utile, per guadagnarsi mansioni dalle quali è stato escluso, lo classifica come poco affidabile, oltre che inviso ai colleghi. Un talento in via di spreco.

2) Lo "squadratore". Il fastidioso soggetto, in genere esteticamente curato fino all'inverosimile, che squadra, dalla testa ai piedi, ogni essere vivente che si avvicina alla propria area di lavoro. Forse gli sfugge che, dall'ostello al fantomatico sette stelle, il cliente va accolto cercando di metterlo a proprio agio. Se ti sei messo comodo per viaggiare, ti tratta come un pezzente malvestito e maleodorante, anche se non puzzi. Se sei ricoperto di loghi di case di moda, o la quantità d'oro che ti porti appresso fa variare il tuo IBM da "Normopeso" a "Obeso", sarai ben accolto, almeno finché, voltando le spalle, lui non inizierà a fare esternazioni sulla tua tamarreria. Da rinchiudere nel back-office, se ne è in grado. Altrimenti dovrebbe considerare se quello è il lavoro adatto lui. Perché lui non è il lavoratore adatto all'hotel.

3) L'affaccendato. Quello talmente occupato a fare ordini, fotocopie, altro, che proprio non ti può degnare di considerazione. Ti rifila la chiave della stanza e, ancor prima che tu possa chiedergli una qualsiasi informazione, ti saluta e torna alle sue faccende. Un altro che non ha capito che hotel=accoglienza. Forse anche più fastidioso dello squadratore.

4) Il cassiere senza stimoli né ambizione. Questo è così inserito nella routine dell'hotel (check-in, check-out, telefono, prenotazione) che di pensare a quello che può fare per aumentare le prenotazioni o per migliorare l'interazione tra i reparti non gliene importa un fico secco. Finisce il turno e torna alla sua bella vita tranquilla come il suo lavoro, il casino lo lascia a quelli che avrebbero potuto organizzarsi meglio con delle informazioni tempestive, dettagliate e soprattutto scritte. Gli preferisco di gran lunga il bruciatore di tappe.

5) Il nato già "imparato". Quello che fa bene come fa, senza chiedersi se fa davvero bene. A volte è un cassiere senza stimoli né ambizione, a cui ormai l'ambizione non serve più perché si sente arrivato dov'è, non gli interessa andare oltre. Ovviamente si sente in grado di riconoscere se uno è portato o meno per il mestiere, richiamando le sue gesta, lavorative o personali, a confronto, non chiedendosi se le potenzialità dell'individuo in questione andassero indagate meglio,  stimolando la partecipazione all'attività lavorativa in maniera più adeguata. Ma questo va un po' oltre il ruolo conquistato su cui si è seduto, pertanto è una competenza che non gli appartiene. Non adatto ad un lavoro di squadra costruttivo, perché privo di doti di leadership e poco propenso a mettersi in gioco, da solo va benino in ambienti limitati. Né carne né pesce.

A questo punto, non posso che mandare un abbraccio virtuale ed anonimo a 3 mie colleghe in particolare, che non appartengono ad alcuna di queste categorie. Un ambiente sereno, anche se più problematico della media, un leader e non un dittatore come capo ed una spalla che da lui ha imparato a trasmettere la propria conoscenza, senza per questo aver paura di essere scavalcato, pongono i presupposti per una buona formazione lavorativa ed un ottimo lavoro di squadra e favoriscono la nascita di sentimenti di stima reciproca, cose dalle quali i maleducati turistici al lavoro si autoescludono.

Non siamo più portinai deputati all'incasso e alla consegna delle chiavi (se mai lo siamo stati): la riduzione di personale dovuta alla crisi, generale e del settore, e l'evoluzione della domanda e delle tecnologie impiegate ci impongono di essere in grado di occuparci di prezzi, di marketing della struttura e del territorio e di una parte di organizzazione, senza dimenticare che la nostra prerogativa è essere ACCOGLIENTI perché l'ACCOGLIENZA è il nostro mestiere, prima di tutto.
L'accoglienza è un dovere anche nei confronti dei nostri colleghi, di qualunque reparto, e va dimostrata cercando di agevolare il loro lavoro il più possibile, perché questo significa far funzionale l'hotel.
E se l'hotel funziona il cliente è soddisfatto... O maleducato, turistico....

Un 2014 finito ed un 2015 iniziato all'insegna della formazione... e della maleducazione

Speravo di avere più tempo ed energie per il blog, invece il mio post-stagione è stato più complesso del previsto.

Mettere il naso nella cucina, conseguendo una qualifica, seppur di base, non è stato semplice. Né il lavoro in team a lezione, né tantomeno il lavoro effettivo durante lo stage.
Cambiare ruolo è stato quasi scioccante: dopo aver conquistato una dignità nel mio lavoro, ricominciare da zero ed essere l'ultimo degli ultimi, un ruolo in cui le tue conoscenze, pur applicabili al contesto, sono inutili perché vengono ignorate a priori, mi ha scosso parecchio.

Ma con la giusta modestia che mi contraddistingue, posso certamente affermare che tutte le mie idee sulla cucina hanno trovato conferma. A differenza di prima, ho tre settimane di lavoro solo nel reparto ed in un determinato ruolo. Non hanno il peso di anni, ma quelli li ho spesi nello stesso stabile, collaborando comunque con la cucina a livello organizzativo, prestandomi più volte (per molto più che qualche settimana) ad essere di aiuto all'occorrenza.

Durante quello che è diventato anche un esperimento sociologico su me medesima, ho potuto osservare il comportamento degli altri/delle altre "me" in quello specifico ambiente, per quello che potevo captare dai discorsi a tavola e dai passaggi nella hall, nel comportamento, nell'organizzazione e nell'interazione con gli altri reparti. Era prevedibile che tra una plonge e un'affettata di verdure il mio cervello continuasse ad elaborare i dati che riceveva e ad analizzarli...

E' stato un doppio lavoro, conclusosi con il mio esame di qualifica con tanto di prova con ingredienti a sorpresa e tempo limitato.
Però adesso, oltre a sapere cosa posso "pretendere" da un aiuto cuoco che si presenta come tale, pur avendo consolidato il pensiero che sia necessario che lo chef abbia l'ultima parola, mi sono arricchita di nozioni di igiene, sicurezza, elementi di enologia ed ovviamente di alimenti e materie prime.
Adesso il mio rilevatore di maleducazione è ancora più sensibile.